Il tripolarismo e la frammentazione hanno tenuto
per dieci mesi Madrid senza governo. Nel frattempo l’economia è esplosa.
Modello giusto per l’Italia?
Spaghetti in salsa spagnola? Magari è un disegno
che qualche leader coltiva. E non è detto che non si ritrovi in sintonia con un
significativo nugolo di industriali, visto che laddove è accaduto è andata
bene. Ma è anche vero che quel sogno che taluni agognano, per altri è un
incubo. Per dieci mesi, infatti, Madrid è rimasta senza governo. Spaghetti in
salsa spagnola? Magari è un disegno che qualche leader, nel fondo del suo
animo, coltiva. E non è detto che non si ritrovi in sintonia con un
significativo nugolo di industriali, visto che laddove è accaduto è andata
bene. Ma è anche vero che quel sogno che taluni agognano, per altri è
nient’altro che un incubo. Che succede se l’Italia finisce nel ginepraio di
tipo spagnolo? Per dieci mesi, infatti, Madrid è rimasta senza governo. Il
passaggio da un sistema bipolare ad uno tripolare ( ricorda niente?) e la
nascita di nuovi soggetti politici – a sinistra Podemos; nell’area di
centrodestra Ciudadanos – ha portato ad una frammentazione tale da non
consentire alcuna maggioranza. Risultato: elezioni nel dicembre 2015. E nuove
elezioni sei mesi dopo, a giugno. Niente in entrambi i casi. Solo la spaccatura
dei socialisti ha consentito dopo dieci mesi col fiato sospeso, la formazione
di un governo di minoranza guidato dal centristaconservatore Mariano Rajoy. Il
fatto è che di questa desertificazione governativa, economicamente il Paese non
ha sofferto: al contrario. Nel 2015 il
Pil è crescito del 3,2 per cento, sommandosi al + 1,4 per cento dell’anno
precedente: niente male. L’occupazione è aumentata, i consumi privati sono
esplosi con un incremento del 3,6 per cento. What else?
La politica non serve, anzi intralcia. E’ vero?
Mettiamola così. Il piano inclinato verso le urne c’era e rimane. La deriva per
elezioni anticipate – sbocco che unisce in una paradossale alleanza Matteo
Renzi e Beppe Grillo – ha una inerzia che è difficile da contrastare. Ci
provano in molti, anche con qualche
argomento pesante. Il più rappresentativo è il
capo dello Stato che il suo pensiero l’ha fatto conoscere con chiarezza seppur
nelle forme felpate che gli appartengono: all’indomani della sentenza della
Corte Costituzionale, per il Colle è fondamentale che i sistemi elettorali di
Camera e Senato vengano armonizzati, e solo dopo si potrà andare a votare.
Per tutta risposta, Grillo gli ha inviato una
lettera con una sorta di aut- aut: o il Parlamento adotta il meccanismo che
piace ai Cinquestelle, il cosiddetto Legalicum; oppure non resta che il voto
con le regole della Corte: e tanti saluti alle “difformità”. Renzi,
necessariamente, adotta toni e dispiega considerazioni meno brutali: ci sarà il
tentativo di intavolare un dialogo con le altre forze politiche con la speranza
che l’accordo arrivi praticamente come la manna dal cielo. Ma se non sarà così,
la road map è la stessa dell’ex comico: urne prestissimo ( a giugno o
addirittura ad aprile) e chi s’è visto s’è visto.
Però il nodo politico resta. Perchè c’è poco da
fare: con i distonici paletti piazzati dalla Consulta e tenendo conto dei
sondaggi, è sicuro che nessuna combinazione riesca ad ottenere la maggioranza
dei seggi. Nè l’alleanza ( di chi?) con i Cinquestelle; nè le larghe ( o forse
strette?) intese Pd- FI Ncd. Nè governi di centrodestra e neppure di
centrosinistra. Idem per esecutivi di tipo tecnico. Di fatto dalle cabine
elettorali fuoriuscirebbe un Parlamento ingovernabile. Chi è che può
permettersi di vagheggiare un simile risultato? I fan del modello spagnolo
certamente. Nel Pd non ce ne sono, e honi soit qui mal y pense. Però è
sicuro che c’è chi, penna alla mano, ha già tratteggiato il percorso di qui a
marzo: la Direzione del Nazareno dichiara impossibile un’intesa sulla legge
elettorale e formalmente chiede le elezioni. Il premier Paolo Gentiloni sale al
Quirinale per rassegnare le dimissioni. Se Mattarella chiede comunque un
passaggio parlamentare, il presidente del Consiglio va sì in aula ma per
chiedere la sfiducia e costringere allo scioglimento.
Fantapolitica. O forse vaticinio di quel che
accadrà. Il risultato vero è uno solo: che se accade quel che tutte le
rilevazioni sondaggistiche preconizzano, dopo le urne non c’è maggioranza
possibile. A quel punto, magari dopo qualche traccheggiamento e un girotondo di
incarichi finiti nel nulla, non resterebbe che tornare a votare. Ma,
attenzione, sempre con il medesimo, distonico, meccanismo elettorale visto che
sarebbe davvero impossibile in quel marasma politico tirare il filo di un
accordo. Dunque nuove elezioni, forse a dicembre 2017, e nuova ingovernabilità.
E così via. Fino a quando, non si sa. Magari chi ha tirato già dallo scaffale
le avventure di Don Quijote, potrebbe riflettere sul fatto che la soluzione del
risiko spagnolo è arrivata dal tracollo del Psoe e la fiammata di crescita
economica è stata dovuta alla concessioni di aiuti fino a 100 miliardi di euro
da parte della Ue: mossa che ha favorito le critiche di chi ha sostenuto che la
Spagna ha ceduto all’Europa la propria sovranità. Finanziaria, naturalmente:
quella politica le agenzie di rating l’hanno declassata da tempo.
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