venerdì 7 aprile 2017

ATTACCO CHIMICO IN SIRIA: E SE NON FOSSE STATO ASSAD?


di MARIO ARPINO -  ATTENZIONE, SE OGGI ci mettiamo a discutere su chi ha lanciato i gas a Khan Sheikun, rischiamo di cadere in una trappola mediatica. Le convinzioni le lasciamo a quel coro di benpensanti ‘politicamente corretti’ che, lanciando anatemi, puntano il dito contro Bashar al-Assad. Nessuno si può esimere, è il bersaglio più facile. I gas si diffondono con vari mezzi: aerei, granate speciali (obici e mortai), oppure, come nelle battaglie sul Carso, generatori posti sottovento. Nella Coalizione che non solo combatte quella parte dei ribelli non presente agli accordi di Astana, ma fa anche altre cose, gli aerei li hanno tutti. I siriani, certo, ma anche i russi, i turchi, i sauditi e i qatarioti. I ribelli no, né i ‘buoni’ né i ‘cattivi’. Le armi terrestri gassificanti, quelle, per intenderci, sparite in massa nel 2011 dagli arsenali di Gheddafi, con alta probabilità sono in mano ai ribelli jihadisti non-Isis. Restringendo il campo, sembrerebbero nella disponibilità dell’ex al-Qaeda, ex al-Nustra e oggi Jahbat Fatah al-Sham. Allora ragioniamo, partendo da Astana e da un fondamentale quesito: cui prodest? Ovvero: a chi giova. Forse non arriveremo a nulla, ma ci chiariremo un po’ le idee. In prospettiva, i ribelli del Free Syrian Army (quelli ‘buoni’) avranno un loro limitato spazio a Nord, con tutela turca. Assad e Putin mirano a distruggere (con la sporadica partecipazione degli Usa) tutti i gruppi jihadisti, concentrati ormai nella provincia di Idlib. Se perdono quell’area, sono praticamente finiti. Assad, se l’avanzata prosegue, ha già la vittoria in tasca. L’offensiva, allora, va delegittimata agli occhi del mondo con ogni mezzo. Indovinello: chi può aver interesse a farlo?


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